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Promessi Sposi
 
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Presente nei capitoli: 19, 20, 21, 22, 23, 24, 29, 30
L'Innominato è una delle più potenti creazioni artistiche della nostra letteratura. Scrive il Monticone: "In questa profondità di psicologia, che diventa profondità d'arte, vi è certo un'espereinza personale. Il Manzoni deve aver lavorato sulla propria anima trasfondendola nella vita dell'Innominato". E' un personaggio storico: Bernardino Visconti, e l'autore lo dichiara in una lettera a Cesare Cantù. Seguendo altri storici del tempo, non ne fece il nome, ma gliene diede uno che ha in sé qualche cosa di misterioso, e lo scritto allo sfondo storico del personaggio aggiunge quell'ornamento poetico e romanzesco che lo fa più attraente. Il suo vero nome fu rivelato al Manzoni da una grida del Governatore spagnolo del marzo 1603, che conteneva un bando contro di lui, feudatario di Brignano Geradadda, e contro i suoi seguaci. Per la grande libertà concessa ai poeti, il suo castello è stato trasportato su nei paesi, dove si svolge l'azione principale dei due promessi. Se don Abbondio sbarca alla meglio il lunario stando a mala pena in equilibrio tra il bene ed il male, l'Innominato passa con la sua forte anima libera ed individualistica, attraverso due fasi, staccate ed opposte, in ciascuna delle quali egli, altro, diritto, fiero, domina la realtà, imponendo sugli uomini e sugli eventi l'eccezionalità della sua figura volitiva. Due fasi ugualmente materiate e saturate di verità e di attività: la prima nel male, la seconda nel bene. Anche il paesaggio che fa da sfondo alla vicenda dell Innominato, nella sua solitudine è pieno di suggestione e degno di lui, e ci introduce appieno nella vicenda di chi giganteggia sui più potenti e sui più malvagi. In codesta atmosfera tristemente illuminata dall'esercizio di ogni iniquità e dìogni delitto, in codesta sua desolata solitudine ha già varcato la sessantina, ma la possanza virile, fisica e spirituale, è ancora e sempre viva, e direi fresca. Ma se prima la sua coscienza era sopita e domata dall'incessante susseguirsi dei delitti, che ispiravanoi un'emulazione feroce, ora la coscienza insorge ad accusare la propria esistenza. Quel Dio, di cui ha udito sempre e solo gli altri parlare, fa sentire la sua presenza. La ripugnanza dei delitti, il tedio del suo passato, la sfiducia dell'avvenire, il dubbio d'un'altra vita, determinano l'inizio della crisi interiore, che egli invano tenta con volontà accanita di mascherare con un'apparenza della vita d'un tempo, che non è più. "Ma la crisi rapidamente si acuisce e l'anima nuova, con terribile crescendo, si determina, si libera, avanza, prorompe". Il brivido dell'ignoto, l'immagine dell'ineluttabile lo sorprende, e l'uomo è annichilito dal nemico che nasce dentro di lui. Lucia è rapita, e quando dal suo castello l'Innominato vede venire avanti l'iniqua carrozza, è sopraffatto da un senso indefinibile di scontentezza e di noia. Lucia è al castello, la debolezza indifesa è nelle sue mani, colei che ha destato compassione nel Nibbio è lì, a due passi, la vuol vedere e dalla povera giovine ode parole che scavano più addentro nel suo cuore: "Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!". Sono le decisive parole di Lucia, e sembrano parole di Dio. La notte famosa che segue al rapimento è quella in cui Iddio sta per rivelarsi all'uomo nuovo, la cui coscienza dopo una lotta atroce con l'uomo vecchio, si ribella al male e aspira verso il bene. Intanto sorge placida l'alba, mentre lo scampanìo festoso, e la gioia della gente giù nella valle s'intona mirabilmente alla festa della Grazia, che segna il ritorno di quell'anima, e invita l'Innominato a chiedere al cardinale la parola di pace e d'amore. E nel colloquio con Federigo la visione di Dio dli si presenta viva, palpitante, reale, e lo stacca insensibilmente e definitivamente dalle ultime ormai pallide ombre del passato, per riconciliarlo con la vita nuova e sospingerlo nella luce dell'avvenire. L'abbraccio fraterno fra il cardinale e l'Innominato è la più grande prova, che Dio è finalmente tra loro con la sua grazia per guidare l'uomo, ormai redento, il quale giganteggierà nell'esercizio del bene, mantenendo intatta la sua inconfondibile personalità e la sua singolare grandezza. Di ciò è prova sicura il discorso mirabile, che la sera del grande giorno tiene ai suoi bravi, discorso mirabile, che la sera del grande giorno tiene ai suoi bravi, discorso formalmente non diverso dai consueti, rapido, secco imperioso, picchiettato di pause oscure e di intransigenti comandi, attraverso il quale continua a balenare e ad affermarsi quella sua stessa personalità fisica e morale di padrone assoluto, di dominatore, ma nel bene, soltanto per il bene. E al suo castello, già officina di delitti, accorreranno moltissimi infelici profughi, sicuri di aiuto e di difesa. La Grazia si è servita di Lucia, il cardinale con il suo zelo, con la sua carità ha portato la luce in quell'anima sconvolta dalle parole dell'umile prigioniera: Dio perdone tante cose per un'opera di misericordia.
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