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Promessi Sposi
 
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Presente nei capitoli: 4, 5, 6, 7, 8, 18, 19, 35, 36, 37
Se dalla debolezza di don Abbondio procedono i guai dei due promessi, il Manzoni ristabilisce l'equilibrio con la bella ed eroica figura di padre Cristoforo, modello di perfezione ideale. Per ben capire il vecchio Cristoforo, modello di perfezione ideale. Per ben capire il vecchio Cristoforo santo e ardente di carità, dobbiamo riportarci al giovane e bellicoso Lodovico, poiché la Grazia corregge, modifica ed eleva, nobilitandola, l'indole di un uomo, giammai l'annulla. Riportandoci alla sua giovinezza noi lo troviamo di animo nobile, franco, leale e generoso, inclinato a proteggere i deboli; indole impetuosa ed orgogliosa, risponde con le armi agli insulti e alle minacce del nobile soverchiatore, ma quando vede cadere il suo servo fedele, Cristoforo, il giovane Lodovico lo fredda e si rifugia in un convento di cappuccini. Ivi decide di farsi frate, e questa determinazione è dovuta ad un intimo stato d'animo che matura per l'intervento della Grazia. Tuttavia la conversazione non crea in lui un nuovo carattere; indole, sentimento e volontà restano intatto, ma dopo la tragedia egli consacra tutte le sue forze ad espiare il suo fallo, e diventa, quindi, l'amico dei buoni, il sostegno dei deboli, la provvidenza dei perseguitati. Infatti dovunque compare è per far del bene; il suo dinamismo gli dà la consapevolezza della superiorità della propria anima, aperta alla luce della giustizia e della bontà, della comprensione umana e cristiana verso i deboli. Il suo mirabile ardore di carità è l'essenza, la caratteristica fondamentale della sua nuova vita. Egli diventa virtù operante profondamente umana, e tanto più attiva quanto più viene a contatto con le passioni che agitano questa nostra varia umanità, buona o malvagia, trista o sofferente, supina al male o eroica nel bene. In questa sua missione di bene, accettata con spirito altamente francescano, l'animo del frate si innalza sublime a toccare le vette dell'amore, fatto di pazienza e di carità, di forza e di sensibilità; quanto più aderisce al multiforme realismo della nostra vita, tanto più acquista una sua potenza interiore, che in ogni momento ei esprime in umiltà. Padre Cristoforo è la figurazione del Bene; benedetto sempre dalla folla che lo crede un santo; temuto dai malvagi a cui parla schietto e fiero il linguaggio dell'accusa e della minaccia in nome di Dio. tuttavia sempre memore dei suoi trascorsi giovanili, sa comprendere e compatire le miserie umane; capisce Renzo innamorato e vittima di un infame sopruso, le sue furie e cerca di soffocarne l'ira con gli argomenti della fede e con le verità del Vangelo. Allontanato da Pescarenico, comandato di recarsi a Rimini, affida alla Provvidenza i suoi protetti, che più tardi rivede nel lazzaretto a Milano con sua grande consolazione, e li benedice, confortato di vederli prossimi alle nozze. Nell'ultimo addio stringe la mano di Renzo, che è sempre il suo figliolo dopoché ha perdonato a don Rodrigo, colpito dalla peste e agonizzante su di un misero giaciglio. Consapevole di essere vicino alla grande ora del trapasso, questo eroe della carità, che tra gli appestati sta per chiudere gli occhi sulle miserie del mondo, spera di aprirli nella luce della beatitudine eterna. Di tutti i grandi personaggi del romanzo, nessuno può rappresentare con maggiore spirito e con più sublimità la rinunzia e il sacrificio, nessuno è così trasfigurato dalla carità. Solo padre Cristoforo poteva capire la bellezza dell'anima di Lucia; e il Manzoni accosta queste due creature nella visione di Renzo in fuga da Milano: una treccia nera e una barba bianca.
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