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Promessi Sposi
 
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Presente nei capitoli: 3, 5, 6, 7, 11, 18, 19, 20, 25, 33, 35
Don Rodrigo è il più autentico rappresentante del signorotto del secolo XVII, a cui è lecito ciò che gli piace, nelle cui vene scorre sangue di guerrieri, di magistrati, di abati e di matrone, che dai ritratti ancora incutono terrore. E' un tirannello senza un'anima propria, privo di una sua personalità; è un debole ed uno sciagurato, un irresoluto anche nel male. Per soddisfare il suo infame capriccio di fronte agli ostacoli deve essere spinto dal puntiglio, dal punto d'onore e in ciò incitato dal cugino conte Attilio, che gli viene in aiuto presso il conte zio onde allontanare padre Cristoforo; cosìper rapire Lucia ricorre all'opera dell'Innominato. E' un volgare tiranno senza volontà, un uomo comune che non si distingue nella schiera dei suoi pari: mediocre, debole, miserabile. La profezia di fra Cristoforo lo conturba; la potenza dell'Innominato, la cui volontà smisurata non trova ostacoli nell'azione, rimpicciolisce e degrada don Rodrigo il quale, cacciatosi in un'impresa, deve cercare puntelli, ripieghi politici aiuti per condurla a termine. Dinanzi al selvaggio signore impallidiscono i tirannelli di mezza taglia, come don Rodrigo gretti e pusillanimi. La paura è l'unica nota dominante nei due maggiori momenti della sua vita, quando è affrontato nel suo palazzotto dal coraggioso padre Cristoforo, armato di giustizia e di coraggio; e quando il destino punitore lo affida alla doppia nequizia della peste e del fedel Griso, che lo consegna ai monatti. Don Rodrigo è malvagio e violento, ma in fondo ama le proprie comodità, né vuole apertamente mettersi contro la legge e si fa amico dei rappresentanti del pubblico potere per coprire le sue malefatte. Poiché egli non si sente tanto forte da sfidare la giustizia, è nell'intimo un debole, soggetto a oscuri rimorsi, infatti di fronte al padre Cristoforo sente la propria inferiorità umana e morale. Per tutto il suo complesso don Rodrigo è la figura più trista del romanzo, poiché nonostante la sua prosopopea, è un pauroso e un vile, la malattia lo atterrisce, la profezia del frate lo sconvolge nel sogno sotto l'incubo della peste. In ultimo la figura del signorotto, piuttosto insignificante e comune in se stessa, si sposta su di un piano nuovo, allorché disteso sul misero giaciglio del lazzaretto, ormai non intende più nulla; morente assume un interesse ed una potenza particolari fino a diventare drammatico, infatti il Manzoni avvolge questa morte in un'atmosfera di mistero. Non ci troviamo più di fronte alle meschine vicende di un uomo, ma agli imperscrutabili misteri della misericordia e della giustizia di Dio.
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